Sommario
Il pellegrinaggio, connaturato alla condizione dell’homo viator, si riscontra in tutte le religioni, in quanto l’essere umano è anche homo religiosus. Partendo da questo dato antropologico, l’articolo ricorda il tratto specifico del pellegrinaggio cristiano, che si sviluppa fin dalle origini come un ricercare anzitutto i «luoghi sacri» della storia della salvezza e poi tutti gli altri luoghi, come i santuari, dove si può incontrare il mistero del divino. Viene poi indicata concretamente l’icona evangelica dei discepoli di Emmaus, che suggerisce quattro punti (partenza, viaggio, incontro e ritorno) per un’efficace pastorale dei pellegrinaggi (da distinguere bene rispetto al cosiddetto turismo religioso).
L’uomo per sua natura è un essere viator, un uomo incessantemente alla ricerca del suo «centro» di equilibrio, per questo necessita continuamente di «collocarsi in un spazio» e di «vivere nel tempo». L’incessante ricerca del proprio centro dice un altro tratto dell’uomo, egli è un essere religiosus.
L’homo religiosus è una qualità significante del vivere umano, carica di referenze simboliche. Si estrinseca nel contesto dell’evoluzione, esistenziale e strutturale, dell’uomo stesso e rappresenta adeguatamente la nativa dimensione «sacrale» e appunto «religiosa» dell’uomo»[1].
L’homo religiosus e viator esprime la sua identità profonda proprio attraverso il pellegrinaggio, che è anch’esso un dato fondamentale dell’antropologia religiosa, una realtà dinamica presente da sempre in ogni religione. Infatti, al di là dell’uso del termine nelle varie accezioni della vita, il pellegrinaggio nel suo manifestarsi più vero, più autentico,
si rivela come un atto tipicamente religioso, radicato intrinsecamente nella dimensione credente dell’homo religiosus, strutturato secondo la religione di cui esprime la dottrina teologica e la prassi, codificato nel tempo secondo riti, gesti, parole, segnato nello spazio da luoghi, percorsi, soste, edifici sacri, monumenti, segni coerenti di una «storia» dell’accadere divino nell’umano[2].
Atto tipicamente religioso e patrimonio comune tra le religioni, esso tuttavia si struttura secondo le modalità proprie di ogni religione.
1. Il pellegrinaggio cristiano
Per il nostro tema ci interessa qui il pellegrinaggio cristiano, che è un fenomeno frutto di diversi condizionamenti sia interiori che esteriori, tra i quali la motivazione, il distacco, il cammino, il luogo sacro. L’elemento fondamentale è proprio il «luogo sacro», infatti, in origine il pellegrinaggio cristiano era un andare a Gerusalemme[3], il luogo santo per eccellenza. Successivamente, quando non si è più potuto andare pellegrini nella terra del Santo per eventi contingenti, ecco arrivare all’orizzonte altre mete di pellegrinaggio, come Roma, Santiago di Compostela, le tombe dei martiri o dei testimoni della fede. Queste nuove mete hanno un medesimo denominatore: sono «luoghi santi» da intendersi in senso biblico, cioè di un luogo «santo» in quanto vi si è manifestata la «presenza» di Dio nella potenza di benevolenza per l’uomo; il luogo è «santo» perché da esso promana la memoria vivente ed efficace della continua fedeltà del Signore, segno della sua santità. Il cristianesimo fin dagli inizi ha manifestato la volontà di ritornare ai luoghi delle origini per rendersi compartecipe delle vicende narrate dai vangeli. I pellegrini ripercorrono, sotto la spinta esemplare della viva esperienza dei discepoli che accorrono alla «tomba vuota» del Risorto, i passi della fede pasquale.
Le donne che si recano al sepolcro il mattino di Pasqua (cf. Lc 23,55-56; 24,1-8), sono le prime pellegrine cristiane, e tracciano un cammino. È «l’archetipo» di ogni pellegrinaggio: esso si delinea come un camminare verso il luogo dell’evento fondativo della salvezza, un incontrare e constatare la presenza-assenza del Signore, un ritornare a casa rigenerati da una vita e da una forza nuova, diventando successivamente pellegrini del vangelo in quanto diventati discepoli del Risorto.
Dopo che il cristianesimo esce dai confini di Gerusalemme, come profetizzato da Gesù prima di ascendere al cielo, cessato il periodo delle persecuzioni romane e riacquisita la libertà di coscienza, a seguito di altre libertà soggettive, l’apertura dei luoghi santi rende possibile visite pubbliche e dettagliate, come ci conferma il Diario di Egeria[4]. Questa prima forma di pellegrinaggio cristiano, è possibile definirla «pellegrinaggio del memoriale», perché percorre le tracce del Fondatore, ma soprattutto rivive nell’«oggi» il pellegrinaggio realizzato da Gesù nell’evento storico fondativo della salvezza. Si tratta di una caratteristica che attraverserà lungo i secoli l’evento pellegrinaggio, anche se questo subirà delle trasformazioni. L’andare in pellegrinaggio sulle orme del Messia, tuttavia, necessita di una previa conversione del cuore, un processo di purificazione interiore che inizia appunto con l’intenzione di intraprendere il pellegrinaggio, ma che si conclude al termine dell’esistenza. Successivamente questa forma di pellegrinaggio, nel Medioevo, si evolve nella tipologia «penitenziale»; evoluzione dovuta a una rinnovata consapevolezza dell’essere uomo e donna segnati dalla realtà del peccato. La volontà espiandi è, dunque, all’origine delle prime confraternite flagellanti e penitenti che intraprendono il pellegrinaggio per tutta l’Europa: è una forma faticosa e rischiosa, il cui obiettivo è purificare l’anima dai peccati, e scontare crimini di diversa natura.
I giubilei del perdono, con la possibilità dell’acquisto delle «indulgenze», fanno venir meno questa forma di pellegrinaggio, che sarà sostituito da quello di tipo devozionale. Il cambiamento della religiosità popolare, che avviene nei secoli XVII-XVIII attraverso la devotio moderna e le sollecitazioni provocate dalla riforma protestante, danno al pellegrinaggio una forma più intima. Un grosso contributo al diffondersi del pellegrinaggio devozionale si ha dal diffondersi dei santuari mariani: questi hanno origine da apparizioni o da ritrovamenti miracolosi di statue o di icone, o dalla riscoperta di piccole cappelle abbandonate, o da eventi prodigiosi. Già dai primordi del cristianesimo la devozione alla Vergine santa è presente, ma è in questo momento storico di passaggio che acquista incisività e popolarità. Accanto a questo movimento santuariale mariano, riprende vigore e si sviluppa il movimento pellegrinante santorale; i santuari, meta di questo movimento, sorgono o sulle tombe dei santi a cui sono dedicati, o sui luoghi segnati dal loro agire apostolico. Anche per questo nuovo fenomeno di pellegrinaggio, si può notare l’apporto e l’influsso derivanti dall’evoluzione socioculturale ed ecclesiale.
Nello secolo scorso il pellegrinaggio ha registrato un notevole incremento, legato soprattutto all’opera di Giovanni Paolo II: i suoi viaggi pastorali ne sono espressione. Questi pellegrinaggi papali danno un nuovo impulso alle chiese, risvegliando in loro lo spirito evangelico e favorendo l’unità delle stesse.
Questo nuovo impulso ha dato origine a una sorta di passaggio dal modello classico a un modello che si può denominare di turismo religioso, il cui nome già declina lo stile che lo caratterizza. Questo passaggio dal modello classico del pellegrinaggio al modello del turismo religioso, non è stato semplice e ritengo si possa dire tutt’altro che concluso a causa della persistente confusione per cui ancora si ritiene che non sussista alcuna differenza tra pellegrinaggio e turismo religioso. Contribuisce un po’ a generare confusione anche il Direttorio generale per la pastorale del turismo Peregrinans in terra, del 30 aprile 1969. In esso si invita, per quanto riguarda le disposizioni pratiche, a «curare e valorizzare il turismo religioso (pellegrinaggi), assicurandone la componente spirituale e tutelando il carattere sacro delle feste tradizionali locali»[5].
Si tratta di una sorta di indiretta legittimazione, se ne censisce l’esistenza e si invita e prenderne cura. Un’evidente conferma di questo modo di pensare, la si incontra anche nel documento del 26 maggio 1978: Chiesa e mobilità umana, dove si legge:
Il turismo cosiddetto religioso si svolge con i mezzi tipici del turismo moderno, rendendo possibile a un maggior numero di persone di frequentare santuari o di compiere visite di preghiera a luoghi cari alla pietà cristiana[6].
Sulla scia dei pellegrinaggi, negli anni Ottanta il «viaggiare sacro» si assimila sempre più alle forme del turismo culturale e sociale, mentre il senso religioso, ancora radicato e attivo, viene via via sempre più coltivato in forme e modi autonomi. Non è senza significato il fatto che in questa fase aumenta sorprendentemente la frequentazione di santuari e di luoghi sacri, dove lo spirito trova un’accoglienza calda e rassicurante e cresce la visitazione riflessiva di opere monumentali cariche di storia e di arte[7], dove l’evento cristiano si è condensato e conservato sotto le diverse forme estetiche e figurative.
Questa confusione oggi continua a permanere, e ritengo sia necessario cercare di dirimerla, tenendo conto del fatto che l’anima che muove il pellegrinaggio è diversa da quella del turismo religioso, e proprio su questa diversità si deve agire.
2. Per una pastorale dei pellegrinaggi
La sostanziale diversità tra il pellegrinaggio e il turismo religioso è di ordine spirituale, elemento che «nonostante i mutamenti subiti nel corso dei secoli, il pellegrinaggio mantiene, anche nel nostro tempo»[8], ed è su questo tratto precipuo dell’identità del pellegrino, che la pastorale oggi può intervenire per ridonare identità al pellegrinaggio stesso. Elementi per impostare una pastorale del pellegrinaggio è possibile rintracciarli nel messaggio inviato da Benedetto XVI ai partecipanti al II Congresso mondiale di pastorale dei pellegrinaggi e santuari, tenutosi a Santiago di Compostella dal 27 al30 settembre 2010. Per impostare un’ipotesi di progetto di pastorale del pellegrinaggio può esserci utile la pericope evangelica lucana dei discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35), prendendo i due discepoli come icona guida. È possibile suddividere la pericope di Luca in quattro scene:
– La partenza. I discepoli amareggiati e delusi dagli avvenimenti lasciano Gerusalemme e si dirigono a Emmaus, loro paese. Lungo la strada incontrano un viandante, al quale rivelano la loro amarezza (cf. Lc 24,13-24).
– Il viaggio. Lo «straniero» incontrato risponde alle istanze dei discepoli di Emmaus, spiegando loro il senso delle Scritture, le quali indicano come Gerusalemme sia il luogo nel quale doveva compiersi il destino di Gesù (cf. Lc 24,25-28).
– «L’incontro». Le parole del viandante riscaldano il loro cuore, e giunti a Emmaus lo invitano a fermarsi a cena con loro. Nel gesto dello spezzare il pane, riconoscono nel loro invitato il Risorto, come le donne avevano detto (cf. Lc 24,29-32).
– Il ritorno. Ritornano a Gerusalemme, annunciando agli apostoli e ai discepoli riuniti nel Cenacolo la loro esperienza (cf. Lc 24,33-35).
Questo brano evangelico, può essere d’aiuto per una pastorale del pellegrinaggio che abbia come fine il vivere un’esperienza spirituale religiosa. Perché risulti tale deve svilupparsi secondo questi quattro ambiti:
a) La partenza. Le istanze che spingono un cristiano a intraprendere un pellegrinaggio sono di tipo esistenziale.
Il pellegrinaggio infatti aiuta a prendere coscienza della prospettiva escatologica in cui si muove il cristiano, homo viator: tra l’oscurità della fede e la sete della visione, tra il tempo angusto e l’aspirazione alla vita senza fine, tra la fatica del cammino e l’attesa del riposo, tra il pianto dell’esilio e l’anelito alla gioia della patria, tra l’affanno dell’attività e il desiderio della serena contemplazione (DPPL 286).
A queste istanze il pellegrino pensa e spera di poterle trovare quando giunge alla meta del suo pellegrinare: il santuario. Ma a questo appuntamento deve giungere preparato. Preparazione che ha inizio proprio alla partenza, che deve essere caratterizzata da un forte momento di preghiera (cf. DPPL 287).
b) Il viaggio. Il pellegrinaggio deve svilupparsi in almeno due direzioni: la storia e la preghiera. Queste sono specificate dal tipo di meta, se santuario mariano o santorale; essendo in maggioranza i santuari mariani, la nostra proposta riflette soprattutto questa specificità. La storia relativa alla meta del pellegrinaggio, che è un santuario, riguarda l’origine, lo sviluppo e il patrimonio artistico che «racconta» una storia di fede. Il pellegrinaggio «è un cammino di preghiera» (DPPL 297), e la preghiera per eccellenza di questo cammino è il rosario, che è una
preghiera evangelica, incentrata nel mistero dell’incarnazione redentrice, preghiera di orientamento nettamente cristologico, il cui elemento caratteristico – la ripetizione litanica del Rallegrati, Maria – diviene lode incessante a Cristo, termine ultimo dell’annuncio dell’angelo[9].
È preghiera contemplativa, dimensione questa fondamentale, in assenza della quale il rosario diverrebbe una meccanica ripetizione di formule, azione contraria all’invito di Gesù, che ci ricorda che quando si prega non si devono sprecare parole (cf. Mt 6,7). Ed è grazie alla contemplazione che il rosario assume un ritmo tranquillo, quasi un indugio pensoso, azione che favorisce la meditazione dei misteri della vita del Signore, misteri che vengono «visti attraverso il cuore di colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudono le insondabili ricchezze» (MC 48). In questo modo il rosario oltre a essere preghiera contemplativa, diventa catechesi di una catechista d’eccezione: la Vergine santa.
L’ultimo tratto del viaggio/cammino deve essere caratterizzato da un’intensa preghiera, meglio ancora se questo tratto viene percorso a piedi, processionalmente sostando presso le eventuali edicole.
c) «L’incontro» o la permanenza nel santuario. È questo il momento più intenso del pellegrinaggio, ne è l’apice. È in questo luogo che in genere il pellegrino decide di intraprendere un cammino di conversione; cammino che trova nell’Eucaristia celebrata la forza decisionale e nel sacramento della Riconciliazione una sorta di ratifica. Non va dimenticato che il carattere penitenziale è stato il motivo che per secoli ha spinto i cristiani a intraprendere il «santo viaggio». È da evitare che la sosta presso il santuario si «riduca» a questi soli due momenti. Infatti, accanto a questi è importante che il pellegrino compia atti di
culto appartenenti alla sfera sia della liturgia sia della pietà popolare. La sua preghiera assume forme varie: di lode e adorazione al Signore per la sua bontà e la sua santità; di ringraziamento per i doni ricevuti; di scioglimento di un voto, a cui il pellegrino si era obbligato nei confronti del Signore; di implorazione di grazie necessarie per la vita (DPPL 286).
d) Il ritorno. È un momento importante, ma ancora spesso trascurato, perché si considera chiusa l’esperienza del pellegrinaggio con l’arrivo nel santuario. Non va mai dimenticato che il credente/pellegrino appartiene a una chiesa particolare e che in tale chiesa è chiamato a testimoniare la propria fede, una fede rinnovata dalla forte esperienza vissuta, che deve interessare la realtà ecclesiale nella quale si fa ritorno. Una realtà che, in un certo qual modo, attende la testimonianza del suo «pellegrino».
Il pellegrino deve essere testimone della salvezza sperimentata nel santo viaggio, deve saper raccontare le meraviglie operate da Dio e da lui sperimentate, percepite, intraviste. Sulla strada, nei luoghi del suo quotidiano vivere, nella compagnia degli uomini egli potrà «riferire ciò che è accaduto lungo la via» (cf. Lc 24,35). Ritornato nel suo contesto abituale di vita il pellegrino sarà chiamato a farsi testimone, interprete della sua esperienza di Dio[10].
3. Conclusione
Oggi si parla indifferentemente di pellegrinaggio o di turismo religioso. In realtà, sono due modi di «andare» che esprimono l’essere viatorche è proprio dell’essere umano, ma sono modi di essere che è necessario distinguere. È possibile fare questa distinzione solo aiutati dalla pastorale. Quando si prepara un pellegrinaggio ritengo necessario si debba tener conto di una molteplicità di elementi, i quali hanno la loro importanza e che per una riuscita del pellegrinaggio vanno considerati nella loro compiutezza. Sono parte di un tutto e ogni «frammento» non va trascurato, come invece spesse volte succede. Non c’è elemento più importante di un altro, anzi si completano e s’intrecciano necessariamente insieme. La meta del pellegrinaggio, l’arrivo nel santuario, dà i suoi frutti nella misura in cui questo arrivo è preparato, qui sta l’importanza della partenza e del viaggio. Un elemento in parte trascurato è, infine, quello del ritorno, che in realtà è invece l’elemento che rivela se il pellegrinaggio ha «raggiunto», almeno in parte, l’obiettivo che portava non sempre consapevolmente con sé: la conversione, cioè la «nuova» capacità di testimoniare Dio in ogni momento della propria esistenza.
Gino Alberto Faccioli
docente di mariologia e teologia spirituale e direttore
dell’ISSR «Santa Maria di Monte Berico» di Vicenza
Articolo tratto dalla Rivista “Credere oggi” 198 6/13
[1] C. Mazza, Turismo religioso. Un approccio storico-culturale, EDB, Bologna 2007, 13.
[2] Ibid., 19.
[3] Cf., ad es, il celebre Diario di Egeria (nobile romana che nel IV secolo percorse i sentieri dei luoghi santi): P. Siniscalco – L. Scarampi (edd.), l’Itinerarium Egeriae. Pellegrinaggio in Terra Santa, Città Nuova, Roma 1999.
[4] Il citato Diario di Egeria ci restituisce l’incanto della scoperta di quei luoghi compiuta da una cristiana appartenente alla prima generazione di una chiesa finalmente libera da persecuzioni e restrizioni. Dal Sinai a Gerusalemme, dalla Palestina all’Egitto fino a Costantinopoli, alla ricerca dei luoghi dove vissero i patriarchi e Gesù Cristo: è un itinerario di scoperta, di preghiera e di intense emozioni, vissuto con fede e partecipazione.
[5] Cf. Sacra Congregazione per il clero, Direttorio generale per la pastorale del turismo Peregrinans in terra (30 aprile 1969), n. 24 (II. Prassi pastorale 3 B/d), in Enchiridion Vaticanum (EV), vol. 3, EDB, Bologna 198011,1015-1054, qui 1039.
[6] Cf. Pontificia commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo, Lettera alle Conferenze episcopali Chiesa e mobilità umana. Pastorale del turismo (26 maggio 1978), II. E, n.18, in EV 6, 968-992, qui 991.
[7] Cf. Conferenza episcopale italiana (CEI), Orientamenti per la pastorale del tempo libero e del turismo in Italia (2 febbraio 1980), nn. 38-40 e 41-44, in Enchiridion CEI, vol. 3, EDB, Bologna 1986, 24-87, qui 75-77; 78-81.
[8] Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001) (DPPL), n.286, in EV 20, 2728.
[9] Cf. Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus (2 febbraio 1974) (MC), n.46, in EV 5, 77.
[10] E. Bianchi, La spiritualità del ritorno. Accompagnare il ritorno, in Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Pellegrini al santuario, LEV, Città del Vaticano 2011, 348.