Sommario
Dopo una breve sintesi storica che ricorda la costante preoccupazione della chiesa per il discernimento e la valutazione delle rivelazioni private, l’articolo illustra la procedura vigente in questa materia in seguito alle Norme emanate nel 1978 dalla Congregazione per la dottrina della fede. I criteri per la verifica della soprannaturalità di eventi come le apparizioni sono rigorosi e spettano, in via gerarchica crescente, in primis al vescovo diocesano, poi alla Conferenza episcopale e in ultima, decisiva istanza alla Santa Sede. In definitiva, risulta che le apparizioni e le mariofanie appartengono alla tradizione della chiesa cattolica e come segni profetici sono un «dono» e nello stesso tempo una «sfida» sia per il magistero e i teologi, sia per il vissuto del popolo di Dio.
Sin dagli inizi del cristianesimo si parla di apparizioni non solo mariane; esse, comunque, sempre suscitano riserve e perplessità come anche curiosità e fervente adesione[1]. Al magistero dei pastori della Chiesa spetta indagare, discernere e autenticare o meno la veridicità di tali fenomeni[2]. Fino al Medioevo, scrivono Joachim Bouflet e Philippe Boutry, le rivelazioni private, le apparizioni mariane e altri fenomeni corrispondenti,
sono sottoposti da un lato a regole di discernimento stabilite dai teologi, dall’altro – quando si tratta di fatti pubblici – a ricerche le cui modalità si affinano a partire dai dati empirici. La prima indagine ufficiale di questo genere verte sulle rivelazioni di santa Brigida († 1373): la notorietà di cui gode la loro diffusione in tutta la cristianità, l’influsso che esercitano sul popolo di Dio, conferiscono loro un carattere pubblico. Per questo il concilio di Basilea (1431-1448) decide di esaminarle. Diversi teologi si mobilitano, argomentando pro o contro, elaborando così le prime esposizioni sistematiche sul discernimento degli spiriti: il De probatione spirituum di Gerson […] e il Defensorium del card. Torquemada. È a partire da queste norme pratiche che si opera il discernimento delle apparizioni mariane; ma tali apparizioni, con la loro immediatezza (sono generalmente note alla comunità umana non appena si sono verificate) e le loro implicazioni sociologiche, richiedono altri tipi di indagine, le cui modalità saranno fissate soltanto da due concili più tardivi [Laterano, 1516 e Trento, 1563 […]. Se, nel XVI secolo, un grande passo è stato compiuto in materia di discernimento grazie all’esperienza di mistici tanto eminenti quali sant’Ignazio di Loyola, santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce, che hanno saputo esporre con precisione la correlazione tra azione della grazia e meccanismi psicologici, la teologia avverte il bisogno di fare il punto della questione. A ciò dobbiamo in particolare i trattati di Suarez, del card. Bona, di Amort, e soprattutto il De revelationibus del card. Prospero Lambertini, il futuro papa Benedetto XIV († 1758)[3], che farà testo fino ai nostri giorni[4].
Le modalità stabilite dai due concili appena ricordati, il Lateranense V (1512-1517)[5] e il concilio di Trento (1545-1563)[6], demandano al vescovo diocesano, all’arcivescovo metropolita (in tempi a noi vicini, alla Conferenza episcopale del territorio nazionale) e al papa o alla Sede apostolica (in pratica all’attuale Congregazione per la dottrina della fede, erede dell’antico Sant’Uffizio), il discernimento sulla veridicità o meno dei fatti asseriti.
Il Codice di diritto canonico del 1917 e quello attualmente in vigore del 1983 non hanno ripreso materialmente tali indicazioni. Sulla linea della già menzionata posizione del card. Prospero Lambertini si erano attestate le risposte dell’allora Congregazione dei riti – oggi denominata, a seguito della riforma post-conciliare attuata nel 1969 da Paolo VI (1963-1978): Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti – alle questioni proposte dai vari episcopati su tale problematica. Pio X (1903-1914) confermerà questa dottrina e prassi nella lettera enciclica Pascendi Dominici gregis, rivolta contro le dottrine moderniste, con la quale viene precisata maggiormente quella che deve essere la norma del magistero per quanto riguarda le apparizioni e le rivelazioni[7].
1. Le Normae del 1978
Dopo la celebrazione del concilio Vaticano II (1962-1965) e prima della promulgazione, nel 1983, del Codice di diritto canonico (CIC) da parte di Giovanni Paolo II, la Congregazione per la dottrina della fede, dopo quattro anni di studio, a partire dal novembre 1974 vivente ancora Paolo VI, ha redatto, il 25 febbraio 1978, un documento ad interim e sub secreto, a firma dell’allora prefetto il card. Francesco Šeper, da utilizzare dalle competenti autorità ecclesiastiche e intitolato: Normae S. Congregationis pro Doctrina Fidei de modo procedendi in diudicandis praesumptis apparitionibus ac revelationibus[8].
Queste Normae, recentemente rese pubbliche dalla stessa Congregazione nel 2012 nelle lingue moderne più importanti e corredate da un’aggiornante Prefazione a cura dell’allora prefetto il card. William Levada, guidano il processo non solo diocesano di verifica della veridicità o meno di asseriti fenomeni soprannaturali, quindi, apparizionistici. In tale procedura di verifica si deve pretendere:
– un’informazione accurata dei fatti tramite l’osservazione e la raccolta di testimonianze degne di fede;
– un serio esame del messaggio sotteso all’evento soprannaturale, che non deve essere in contrasto con la fede cristiana;
– una rigorosa diagnosi medico-psicologica per appurare la salute e la normalità del veggente, anche per scartare possibilità di fenomeni allucinatori;
– conoscere il grado di istruzione del veggente, la sua conoscenza della dottrina, la sua vita spirituale e sacramentale, il suo grado di comunione ecclesiale;
– c’è da verificare sulla realtà dei frutti spirituali, quali ritorno alla fede dei lontani, moralità ed ecclesialità dell’esistenza, cooperazione all’evangelizzazione del mondo, delle culture e dei costumi;
– c’è da accertare eventuali guarigioni miracolose, che si ricevono a ragione dell’asserita apparizione, guarigioni che devono essere immediate e stabili e che risultano inspiegabili dal punto di vista della scienza e della medicina;
– si deve compiere un necessario rigoroso giudizio della chiesa, che ha il grave dovere pastorale di accertare, autenticare e promulgare l’autenticità o non autenticità dei fatti asseriti[9].
Risulta, quindi, abbastanza chiaro l’iter e le competenze specifiche di coloro che via via sono chiamati a dare un giudizio di autenticità o meno circa asseriti fatti «soprannaturali».
Secondo la rodata esperienza ecclesiastica e i dettami giuridico-pastorali emanati dalle Normae del 1978, essi sono:
– il vescovo diocesano in prima istanza;
– la Conferenza episcopale nazionale;
– la Congregazione per la dottrina della fede a nome della Sede apostolica.
Il vescovo diocesano, la Conferenza episcopale, la Congregazione per la dottrina della fede, nel processo di discernimento e di verifica degli asseriti fatti «oltre natura», procedono, quindi, con una triplice criteriologia con relativo giudizio che riassumiamo:
1) il criterio positivo, secondo cui «consta la trascendenza» (constat de supernaturalitate); il che vuol dire che il fenomeno in esame non può assolutamente essere spiegato facendo ricorso agli strumenti conoscitivi di cui siamo in possesso (gli strumenti delle scienze fisiche e delle scienze umane) e porta contemporaneamente iscritti in sé quei caratteri che i credenti riconoscono come «impronte» e «segni» del Dio di Gesù Cristo, costituendone pertanto un’inattesa ma credibile manifestazione;
2) il criterio negativo, secondo cui «consta la non trascendenza» (constat de non supernaturalitate) dei fatti asseriti; il che vuol dire che essi possono essere totalmente spiegati facendo ricorso agli strumenti conoscitivi delle scienze fisiche e delle scienze umane e che il tentativo di farli passare come una manifestazione soprannaturale e trascendente di Dio equivale a un’esplicita menzogna;
3) il criterio attendista secondo cui «non consta la trascendenza» (non constat de supernaturalitate); il che vuol dire che il fenomeno in esame non evidenzia ancora chiaramente e indubitabilmente un’origine che vada «oltre» quanto possiamo spiegare con gli strumenti conoscitivi in nostro possesso, pur portando contemporaneamente iscritti in sé dei valori ispirati al genuino messaggio evangelico[10]. Si tratta di un criterio non espressamente contemplato nelle Normae, ma ritenuto valido da molti teologi.
Rispetto al passato le commissioni ecclesiastiche sottopongono i «veggenti»[11] a scrupolosi esami spirituali, cercando di stabilire «la verità» dei fenomeni straordinari. A questo fine essi sono interrogati e descrivono gli eventi miracolosi; poi i membri delle commissioni ascoltano i testimoni e, infine, ricercano le conferme dei fenomeni se l’evento sostenuto resta ancora in un «campo di incertezza» (inascoltato, inafferrabile, ecc.). Ma sarà bene riportare un denso e congruo brano stilato in tal senso da un esperto sull’argomento:
La posizione attuale della gerarchia, assediata – per così dire – da eventi ammantati di trascendenza, resta sostanzialmente identica, enucleata con una formulazione assiomatizzata nella solennità del linguaggio curiale: a) constat de supernaturalitate, ossia risulta che l’evento è soprannaturale; b) non constat de supernaturalitate, ossia non risultano elementi soprannaturali; c) constat de non supernaturalitate, ossia risulta che non vi sono elementi soprannaturali. Si tratta di posizioni permissiva (a), attendista (b), negativa (c). La gerarchia non intende impegnare il proprio magistero nel definire la natura di fenomeni trascendentali e soprannaturali, segnatamente apparizioni e visioni, anche se utilizza nel proprio linguaggio questi vocaboli. Con quella formula essa: a) garantisce la validità dei messaggi e la bontà delle conseguenze: non si impegna a confermare che nell’evento è presente la persona percepita dal veggente (il Cristo, Maria, santi…); b) avverte che l’evento resta nel confine di normale, ordinario fenomeno umano e terreno, anche se evoluzioni verso la soprannaturalità potrebbero sopravvenire; c) ammonisce che l’evento è privo di alcunché di soprannaturale o ha evidenze tutt’altro che soprannaturali, ossia ne denuncia la falsità soprannaturale non solo l’assenza di essa[12].
Nei tempi passati il processo ecclesiastico di indagine dava più considerazione al sensus fidelium e alla vox populi – consuetudine da ripristinare con rigore e prudenza, in quanto non si può non tener in debito conto la dimensione battesimale-sacerdotale dell’intero popolo di Dio, laici e ministri – che alle perizie degli esperti, come invece avviene nei tempi attuali.
2. Dimensione ecclesiologica e pastorale
Quando l’autorità ecclesiastica, sia episcopale (il vescovo diocesano o la Conferenza episcopale della regione/nazione) o pontificia (mediante la Congregazione per la dottrina della fede), approva un’apparizione o una mariofania, lascia comunque il cristiano libero di credervi o meno: può raccomandargli di credere, ma non lo obbliga[13]. Il cristiano è invitato a giudicare i fatti secondo la sua discrezione, prudenza e senso ecclesiale[14]. Il card. William Levada nella già ricordata Prefazione alle Normae pubblicate, ha ricordato come il sinodo dei vescovi sulla parola di Dio, nell’ottobre 2008, abbia raccomandato
di «aiutare i fedeli a distinguere bene la parola di Dio dalle rivelazioni private» (Propositio 47), il cui ruolo «non è quello… di «completare» la rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica (Catechismo della chiesa cattolica, n. 67). Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente diverso dall’unica rivelazione pubblica: questa esige la nostra fede; in essa infatti per mezzo di parole umane e della mediazione della comunità vivente della chiesa, Dio stesso parla a noi. Il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica. Per questo l’approvazione ecclesiastica di una rivelazione privata indica essenzialmente che il relativo messaggio non contiene nulla che contrasti la fede e i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico, e i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione. Una rivelazione privata può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne antiche. Essa può avere un certo carattere profetico (cf. 1Tes 5,19-21) e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il vangelo nell’ora attuale; perciò non la si deve trascurare. È un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso. In ogni caso, deve trattarsi di un nutrimento di fede, della speranza e della carità, che sono per tutti la via permanente della salvezza (cf. Congregazione per la dottrina della fede, Il messaggio di Fatima (26 giugno 2000), in Ench. Vat., 19, nn. 974-1012)»[15].
Quando la chiesa dichiara non autentica, cioè inautentica un’apparizione, in quanto non vede nei fatti scrupolosamente esaminati alcunché di fondato o di utile o, peggio, vi vede qualcosa che può ingenerare un pericolo per la fede o per l’unità ecclesiale e pastorale, per il cristiano sarebbe veramente temerario andare in senso contrario al giudizio della chiesa[16]. Per sé, le Normae non affrontano direttamente la qualità magisteriale del riconoscimento di un evento soprannaturale quale una mariofania da parte del vescovo diocesano competente e, allo stato attuale, non risulta che tale argomento sia stato esplicitamente affrontato né da altri documenti del magistero ecclesiastico, né dagli studi sistematici dei teologi e dei mariologi. Le Normae, infatti, si limitano a presupporre che tale atto magisteriale sia parte essenziale del ministero ordinario del vescovo diocesano, ma non si spingono oltre nel delinearne la natura e il conseguente assenso a esso dovuto. Nel momento in cui il vescovo diocesano si pronuncia ufficialmente su di un’apparizione mariana o su una rivelazione privata in genere, egli compie perciò un atto ministeriale di esercizio della funzione legislativa[17] e, più precisamente, di magistero autentico non infallibile e non universale[18]. È magistero autentico, in quanto esprime i doveri e le funzioni dell’autorità legittima, che derivano tutti (doveri, funzioni, autorità) dalla sacramentalità dell’ordine episcopale[19]. È magistero non infallibile e non universale sia in relazione al soggetto che lo attua sia in relazione al suo oggetto. Il soggetto che lo attua è infatti il singolo vescovo diocesano responsabile di una chiesa locale che, appunto in quanto tale, non è in grado di esercitare l’indefettibilità/infallibilità della chiesa mediante un atto magisteriale particolare (ossia rivolto esclusivamente alla singola chiesa locale di cui è a capo e ad essa vincolato)[20]: l’indefettibilità/infallibilità della chiesa riposa nel collegio episcopale come tale, unito al vescovo di Roma (non nel singolo vescovo preso indipendentemente dal collegio) e si esprime nel magistero ordinario universale di tale collegio. In altre parole, il singolo vescovo partecipa della prerogativa ecclesiale dell’indefettibilità/infallibilità con il collegio episcopale unito al papa nel momento in cui dovesse porre atti di magistero ordinario universale, così come delineato nel Vaticano II nella Lumen gentium al n. 25 e nei successivi documenti ecclesiali[21].
Le mariofanie e le rivelazioni private appartengono di diritto alla tradizione della chiesa, ma non possedendo un carattere fondativo/fondante, sono prive della dimensione universale: rimangono eventi particolari, che non possono di conseguenza vincolare l’adesione teologale del singolo credente e men che meno della totalità del popolo di Dio radunato in tutte e singole le chiese locali che formano la chiesa universale[22]. Il carattere essenzialmente particolare delle apparizioni richiede un pronunciamento a esso proporzionato e, quindi, a sua volta non universale e perciò inabile a esigere la fede teologale che suppone, invece, il carattere essenziale di universalità. Le Normae illustrano in sequenza:
– il ruolo delle Conferenze episcopali (che possono intervenire su richiesta del vescovo diocesano [«ricorso richiesto»] o quando, previo assenso dello stesso vescovo diocesano, l’apparizione è divenuta un caso regionale o nazionale [«ricorso accettato»], ma senza avocare a sé il giudizio definitivo, che rimane sempre diritto-dovere del vescovo diocesano);
– il compito della Congregazione per la dottrina della fede, sulla base teologica e disciplinare del ministero e della giurisdizione universale del vescovo di Roma. Tale «istanza ultima» interviene: su richiesta del vescovo diocesano; su richiesta di un gruppo qualificato di fedeli che non voglia attentare alla comunione gerarchica e perciò in grado di porre tale richiesta in maniera legittima; per motu proprio in casibus gravioribus che concernono una grande parte della chiesa (sempre e comunque sentito l’ordinario del luogo e, se è il caso, la rispettiva Conferenza episcopale) al fine dell’approvazione dell’operato del vescovo diocesano (non dell’apparizione in quanto evento fattuale) o dell’indizione di un nuovo studio del fatto apparizionistico, il cui esito spetterà comunque all’ordinario del luogo emanare di sua propria autorità nei tempi e modi che saggezza e prudenza riterranno necessari.
3. Conclusione
Da sempre materia «a rischio», le apparizioni mariane (o mariofanie) sono comunque un dato innegabile della storia del popolo credente, particolarmente in alcuni tornanti decisivi del suo non facile cammino verso Dio. Esse esprimono una memoria, manifestano una compagnia, annunciano una profezia:
– esprimono la scandalosa memoria passionis del Cristo, agnello innocente e servo sofferente che porta su di sé il peccato del mondo stigmatizzandolo e redimendolo;
– manifestano la compagnia del Risorto che cammina insieme ai suoi discepoli soprattutto nel momento del disorientamento, della tentazione, del volgersi indietro, rendendo così la storia dei credenti una continua via da Emmaus a Gerusalemme e da Gerusalemme sino ai confini della terra;
– annunciano la profezia della salvezza e della riconciliazione, che sgorga dalla Pasqua del Signore, epifania suprema del «nulla è impossibile a Dio» (cf. Lc 1,37).
La memoria, la compagnia e la profezia, proprie anche delle autentiche mariofanie, non aggiungono nulla al rigoroso ed essenziale depositum fidei, ma sono come il dono di uno specchio dello Spirito, in cui il popolo di Dio, nella diversità dei suoi carismi e ministeri, può ritrovare la grazia e la sostanza della sua vocazione in Cristo a essere segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità dell’intero genere umano nella martyria, nella leiturghia, nella carità, in un preciso e determinato tempo umano e storico.
Far conoscere meglio sia la concreta possibilità di questi segni profetici di presenza della Glorificata, sia il loro significato di reale irruzione di tenerezza materna nella nostra esistenza con lo scopo di «aiutarci a rileggere e vivere il vangelo» (Paul Claudel)[23], rimane un «dono» e una «sfida» non solo per la teologia e il magistero ecclesiale, ma per il «vissuto» di tutto il popolo di Dio ed è opera impensabile e inattuabile senza entrare in uno stabile cammino di preghiera, conforme alla dignità sacerdotale, che ogni credente ha realmente ricevuto nel battesimo, non solo per sé stesso ma a beneficio e a custodia di tutto il creato. Il cristiano sa bene che tali carismatici doni di presenza sono sempre finalizzati ad accogliere esistenzialmente la Parola vivente del Padre, che è Cristo, pienezza di rivelazione, di senso e di meta; e così sappiamo riconoscere, proprio nella e grazie alla preghiera, il primato dell’ascolto sulla visione: «Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 11,28).
Salvatore M. Perrella
preside della Pontificia Facoltà Teologica «Marianum», Roma,
docente di Teologia dogmatica e Mariologia
Articolo tratto dalla Rivista “Credere oggi” 198 6/13
[1] Cf. K. Rahner, Visioni e profezie. Mistica ed esperienza della trascendenza, Vita e Pensiero, Milano 19952 (or. ted. 1952); R. Laurentin, Introduzione, in R. Laurentin – P. Sbalchiero (edd.), Dizionario delle «apparizioni» della Vergine Maria, Edizioni ART, Roma 2010, 19-55.
[2] Cf. Catechismo della chiesa cattolica, LEV, Città del Vaticano 1997 (CCC), 85-87.
[3] P. Lambertini, Opus de servorum Dei beatificatione et de beatorum canonizatione: edizioni 1734/1738;1743;1839: – liber II caput 32: «de adnotatis et adnotandis per revisores super visionibus, revelationibus et prophetiis»; – liber III caput 49: «de mentis excessu, ecstasi et raptu»; – caput 50: «de visionibus et apparitionibus»; – caput 51: «de discernendis visionibus et apparitionibus»; – caput 52: «de visionibus et apparitionibus quoad causae beatificationis et canonizationis»; – liber 53: «de revelationibus». A questo riguardo scrive: «Portiamo a conoscenza che l’autorizzazione data dalla chiesa a una rivelazione privata non è altro che il consenso accordato dopo un attento esame, affinché questa rivelazione sia conosciuta per l’edificazione e il bene dei fedeli. A queste rivelazioni, anche se approvate dalla chiesa, non si deve accordare un assenso di fede cattolica. Occorre, secondo le regole della prudenza, dare loro l’assenso della fede umana, in quanto siffatte rivelazioni sono probabili e piamente credibili. Si può dunque rifiutare il proprio assenso a dette rivelazioni e non prenderle in considerazione, purché lo si faccia con l’opportuno riserbo, per delle buone ragioni e senza sentimenti di disprezzo» (ibid., lib. II, cap. 32, n. 11; per la tr. it. dei brani cf. J. Bouflet – Ph. Boutry, Un segno nel cielo. Le apparizioni della Vergine, Marietti, Genova 1999, 70-72).
[4] Bouflet – Boutry, Un segno nel cielo, 12-16.
[5] In esso vengono fissate delle norme e delle leggi per questo settore di rivelazioni soprannaturali, e precisamente nella sessione XI, con il decreto del 19 dicembre 1516: «Volumus – asserisce il documento – ut lege ordinaria tales assertae inspirationes che d’ora innanzi, prima di essere pubblicate o predicate al popolo, siano riservate all’esame della Santa Sede Apostolica». Se poi, urgenza o necessità consigliassero altrimenti, allora la cosa venga resa nota al vescovo del luogo, il quale deve condurre un diligente esame, servendosi anche di tre o quattro persone dotte e serie. Concluso l’esame, potranno concedere il permesso o licenza, onerata però la coscienza (cf. G. Alberigo – G. Dossetti – C. Leonardi – P. Prodi [edd.], Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, Bologna 1991, 637).
[6] Il Tridentino, nella sessione XXV del 4 dicembre 1563, analogamente al concilio Lateranense ma con estremo rigore, stabiliva, riguardo ai miracoli, alla venerazione delle reliquie dei santi e delle immagini sacre, quanto segue: non si ammettono nuovi miracoli, né si accolgono nuove reliquie se non con il riconoscimento e il permesso del vescovo, che servendosi di teologi e di persone pie, farà ciò che stimerà esser conforme alla verità ed alla pietà. Nelle questioni difficili e dubbiose il vescovo, prima di dirimere la controversia, attenda la sentenza del concilio provinciale del metropolita e vescovi comprovinciali. Ma nulla di nuovo e di straordinario si stabilisca nella chiesa d’ora innanzi senza consultare prima il santissimo Romano Pontefice («nihil inconsulto sanctissimo Romano Pontifice novum aut in Ecclesia hactenus inusitatum decernatur», cf. ibid., 776).
[7] Cfr. Pio X, Lettera enciclica Pascendi Dominici gregis (8 settembre 1907), in Enchiridion delle encicliche, vol. 4, EDB, Bologna 1998, 190-246, 206-309.
[8] Cf. S.M. Perrella, Le apparizioni mariane. «Dono» per la fede e «sfida» per la ragione, San Paolo, Cinisello B. 2007, 112-115.
[9] Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni, LEV, Città del Vaticano 2012.
[10] Va detto che le Normae conoscono solo due espressioni di giudizio: il criterio positivo, secondo cui «consta la trascendenza» (constat de supernaturalitate); il criterio negativo, secondo cui «consta la non trascendenza» dei fatti asseriti (constat de non supernaturalitate). Il criterio attendista secondo cui «per il momento non consta la trascendenza» (non constat de supernaturalitate) appare, invece, utilizzato dalla Conferenza episcopale dell’ex Jugoslavia con la nota: Dichiarazione di Zara circa i presunti fatti mariofanici di Medjugorje, del10 aprile 1991.
[11] Il «veggente», secondo gli esperti, è colui che «vede» un essere o una situazione soprannaturale (o non presente) tramite un’individuale sensibilità interiore, la quale registra l’oggetto della visione nell’interiorità soggettiva, cioè nell’animo o nell’anima, nella mente, nel pensiero, nelle facoltà immaginative e rielaborative, nel cuore affettivo ed emozionale, nelle zone delle fantasie. La «verità» del veggente è verificabile solo controllando le situazioni e le zone del di qua, ossia lo stato delle facoltà corporee: ad es. estasi, sospensione del senso del tempo e del luogo, alterazioni delle funzioni cardiocircolatorie, assenza della sensibilità; la «verità» dell’aldilà non è verificabile se non con i criteri della credibilità e della fiducia. Per comprendere con cognizione di causa il valore teologico e testimoniale del veggente, portatore di messaggi e rivelazioni celesti, e quindi essere a conoscenza dello statuto epistemologico del servizio ecclesiale del veggente, si vedano S. De Fiores, Veggente, in S. De Fiores – T. Goffi (edd.), Nuovo dizionario di spiritualità, Paoline, Roma 1979, 1662-1677; J. Vernette, Veggenza, in P. Sbalchiero (ed.), Dizionario dei miracoli e dello straordinario cristiano, vol. 2, EDB, Bologna 2008,1815-1821.
[12] L.M. De Candido, Manifestazioni straordinarie per il bene del popolo di Dio, in «CredereOggi» 142 (4/2004) 83.
[13] Cf. Ch. J. Scicluna, Orientamenti dottrinali e competenze del vescovo diocesano e della Congregazione per la dottrina della fede nel discernimento delle apparizioni mariane, in S. Cecchin (ed.), Apparitiones Beatae Mariae Virginis in historia, fide, theologia. Acta Congressus mariologici-mariani internationalis in civitate Lourdes anno 2008 celebrati, vol. 1, PAMI, Città del Vaticano 2010, 340-355.
[14] Cf. S.M. Perrella, Impronte di Dio nella storia. Apparizioni e mariofanie, EMP, Padova 2011, 186-225.
[15] W. Levada, Prefazione, in Congregazione per la dottrina della fede, Norme per procedere nel discernimento, 5-6; cf. CCC 51-73; Catechismo della chiesa cattolica. Compendio, LEV – San Paolo, Città del Vaticano – Cinisello B. 2005, 6-10.
[16] Cf. M. Hauke, Introduzione alla mariologia, Eupress, Lugano 2008, 326-328: Fenomeni non riconosciuti.
[17] Cf. Congregazione per i vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi Apostolorum successores (22 febbraio 2004), nn. 63-69, in Enchiridion Vaticanum (EV), vol. 22, EDB, Bologna 2006,1699-1728.
[18] Cf. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Pastores gregis (16 ottobre 2003), nn. 42-54, in EV 22, 824-871: Pastoralis moderatio episcopi («Il governo pastorale del vescovo»).
[19] Cf. I. Schinella, Il magistero autentico. Genesi, semantica e significato di «authenticum», in «La Scuola Cattolica» 118(1990) 253-263.
[20] Cf. C. Militello, La chiesa «il corpo crismato». Trattato di ecclesiologia, EDB, Bologna 2003, 383-426.
[21] Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium (21 novembre 1964) (LG), n.25, in EV 1, 344-347; CCC 85-87; 884-892;2032-2040; CIC 749 §2.
[22] Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum concilium (4 dicembre 1963), nn. 41-42, in EV 1, 72-75; Id., Decreto Ad Gentes (7 dicembre 1965), nn. 19-22, in EV 1,1150-1170; LG 26; CCC 832-835.
[23] Cf. G. Colzani, Apparizioni, in S. De Fiores – V. Ferrari Schiefer – S.M. Perrella (edd.), Mariologia, San Paolo, Cinisello B. 2009, 136-144; A. Grasso, Perché appare la Madonna? Per capire le apparizioni mariane, Editrice Ancilla, Conegliano 2012.