Sommario
Comprendere teologicamente una «rivelazione privata» come un evento ecclesiogenetico sembra essere a prima vista un procedimento equivoco, in quanto gli elementi costitutivi della chiesa vengono dati definitivamente dalla «rivelazione pubblica», che si è conclusa con Gesù Cristo. L’articolo risponde a questa difficoltà mostrando che le apparizioni mariane sono un evento carismatico e, dato che i carismi sono un elemento costitutivo della chiesa, anche tali apparizioni, pur essendo rivelazioni private appartengono come eventi possibili, sia pure non necessari, al processo dell’ecclesiogenesi e alla crescita dell’intelligenza della fede.
1. Premessa
L’ecclesiogenesi[1], da intendersi come nascita, origine, dinamica, attraverso cui la chiesa è manifestata dallo Spirito di Dio e resa dal medesimo Spirito comunità di salvezza[2], è momento irrinunciabile dell’evento della rivelazione. Non esiste, infatti, autocomunicazione di Dio[3] che sia inseparabile dalla fede che la riconosce, l’accoglie e la proclama (cf. DV 5) all’interno di un’esperienza personale e comunitaria[4], sia perché comunicabile-condivisibile tra soggetti umani e culturali differenti (cf. DV 2); sia perché pro-esistente, ossia costruttrice di riconciliazione, di perdono, di fratellanza-sororità e di speranza in contesti «normalmente» animati e guidati dalla logica e dalla prassi della contrapposizione, della violenza e della morte[5]. Senza ecclesiogenesi non c’è evento di rivelazione:
Il mondo fu creato in vista della chiesa»[6], dicevano i cristiani dei primi tempi. Dio ha creato il mondo in vista della comunicazione della sua vita divina, comunione che si realizza mediante la «convocazione» degli uomini in Cristo, e questa «convocazione» è la chiesa. La chiesa è il fine di tutte le cose e le stesse vicissitudini dolorose, come la caduta degli angeli e il peccato dell’uomo, furono permesse da Dio solo in quanto occasione e mezzo per dispiegare la potenza del suo braccio, tutta l’immensità d’amore che voleva donare al mondo: «Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama mondo, così la sua intenzione è la salvezza dell’uomo, ed essa si chiama chiesa (Clemente d’Alessandria, Pedagogus, 1,6)[7].
2. Le rivelazioni private e l’ecclesiogenesi
Comprendere teologicamente una «rivelazione privata» come un evento ecclesiogenetico sembra essere quindi, almeno a prima vista, un procedimento equivoco. L’ecclesiogenesi, infatti, indica prima di tutto le modalità strutturali e sostanziali che danno origine alla chiesa e la rendono quello che essa è, popolo di Dio e sacramento universale di salvezza[8]. Esse rimandano perciò a tutte quelle dimensioni che la teologia classica raduna sotto il lemma di «rivelazione pubblica»: la parola di Dio che si è manifestata definitivamente in Gesù, Cristo e Signore, e che si comunica nell’intreccio vitale tra Scrittura e tradizione, nella celebrazione liturgica dei misteri della salvezza e nella testimonianza perseverante e paziente dei credenti (cf. DV 2).
In altre parole, l’ecclesiogenesi richiama direttamente gli elementi costitutivi della chiesa e del cristiano, che coinvolgono perciò la fede teologale dei credenti, in quanto epifania reale ed effettiva dell’autocomunicazione del Dio Unitrino nel flusso spazio-temporale inscritto nel passato, nel presente e nel futuro dell’intera creazione e, in essa, della famiglia umana[9].
Se questa è l’ecclesiogenesi, tutte quelle realtà che – come ricorda CCC 67 – la teologia ha compreso e classificato come «rivelazioni private», e tra di esse le apparizioni mariane, che ne costituiscono una modalità specifica[10], non sembrano avere alcun titolo per essere comprese come parte legittima del suo dispiegarsi. Tali eventi, infatti, non solo non richiedono la fede teologale dei credenti, ma lasciano loro libertà di adesione se considerarli, una volta autenticati dalla competente autorità ecclesiastica, utili o meno al loro percorso di crescita battesimale. Praticamente, un «di più» con i caratteri del superfluo e di quel che comunque va messo da parte nel corso (se non in nome) della crescita a una fede adulta e matura[11].
Questo modo di procedere e di comprendere, in prima istanza assolutamente cogente e convincente, denota però, a un esame più attento, una problematica di fondo che potrebbe essere riassunta con le parole di René Laurentin, quando parlava di «monofisismo cristologico» in merito alla «natura» della chiesa[12]; o con le parole di Yves Congar († 1995), quando denunciava la «scomparsa» dello Spirito Santo quale soggetto decisivo nella costruzione-identità-esperienza-autocomprensione-prassi della chiesa[13]. Ciò aveva portato a dimenticare che la dimensione carismatica è parte sostanziale, essenziale e costitutiva della chiesa e della sua «natura»[14]. Per questo è parte e momento insostituibile dell’ecclesiogenesi.
Il Concilio Vaticano II (1962-1965), nella Lumen gentium, ha insegnato con chiarezza che l’elemento carismatico non è un «di più» che si va ad aggiungere estrinsecamente all’elemento istituzionale – per sé completo e intrinsecamente autosufficiente – della comunità credente:
Lo Spirito dimora nella chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cf. 1Cor 3,16; 6,19) e in essi prega e rende testimonianza dell’adozione filiale (cf. Gal 4,6; Rm 8,15-16 e 26). Egli guida la chiesa verso tutta intera la verità (cf. Gv 16,13), la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige, la abbellisce dei suoi frutti (cf. Ef 4,11-12; 1Cor 12,4; Gal 5,22). Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: «Vieni» (cf. Ap 22,17) (LG 4).
Nell’insegnamento conciliare, l’elemento istituzionale (Parola e sacramento) e l’elemento carismatico (doni per il servizio) non possono mai stare l’uno senza l’altro: è la loro compresenza che dà origine alla chiesa, poiché essa vive non solo della Parola, ma dell’intima unione tra Parola e soffio[15], come testimoniano le sacre Scritture neo-testamentarie, sia in relazione al Gesù terreno, sia in rapporto alle chiese post-pasquali[16]: la comunità dei credenti sorge dalla Parola-sacramento e dai segni; e vive nella Parola-sacramento e nei segni, in attesa della parusia di Cristo risorto[17].
Ovviamente, questa compresenza ecclesiogenetica non ha una natura confusionaria o liquida: se alla Parola è dovuta la fede teologale, al dono carismatico non è dovuta la medesima fede teologale, ma piuttosto il discernimento e l’accoglienza (cf. CCC 799-801). Il dono carismatico, infatti, procede dalla Parola e dal sacramento, ossia dal Cristo incarnato, morto, risorto, glorificato e vivente nella e testimoniato dalla chiesa per opera del suo Spirito; e al Cristo morto, risorto, glorificato e vivente nella e testimoniato dalla chiesa per opera del Pneuma divino, rimanda e conduce come sua finalità intrinseca e strutturale (cf. DV 4), al fine di manifestare il mistero di Cristo e della chiesa quale comunità di salvezza pro-esistente per tutta l’umanità[18].
In altre parole, il dono carismatico suppone la fede teologale e alla fede teologale rimanda, offrendo nel momento del suo accadere un percorso di testimonianza-annuncio del mistero di Cristo e della chiesa[19] che può a ragione essere compreso come una tappa del mai concluso processo di crescita nell’intelligenza della fede[20].
3. Il magistero sulle rivelazioni private
Sulla scia del magistero conciliare il Catechismo afferma:
Grazie all’assistenza dello Spirito Santo, l’intelligenza tanto delle realtà quanto delle parole del deposito della fede può progredire nella vita della chiesa: – «con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro» (Dei Verbum 8); in particolare «la ricerca teologica […] prosegue nella conoscenza profonda della verità rivelata» (Gaudium et spes 62); – «con la profonda intelligenza che i credenti provano delle cose spirituali» (Dei Verbum 8); «divina eloquia cum legente crescunt – le parole divine crescono con chi le legge»[21]; – «con la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma certo di verità»(Dei Verbum 8)» (CCC 94).
Se è vero che il testo del Catechismo non parla esplicitamente dei doni carismatici, è pur vero che essi possono essere legittimamente riscontrati sia nel riferimento alla sua «assistenza» sia nelle «cose spirituali» affidate alla «profonda intelligenza dei credenti» che il Catechismo richiama attraverso la citazione diretta di DV 8. Lo stesso numero, infatti, prima di parlare delle «cose spirituali», dichiara apertamente:
Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa e all’incremento della fede del popolo di Dio. Così la chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede[22].
È indubbio che il dono carismatico è essenzialmente ordinato alla condotta santa del popolo di Dio[23]; nello stesso tempo, è altrettanto indubitabile che il dono carismatico appartiene alla vita ordinaria della comunità cristiana e della sua esperienza della grazia, della redenzione e della salvezza. Non si spiegherebbe altrimenti l’interesse persistente dell’apostolo Paolo per i carismi e la loro accoglienza e il loro discernimento, testimoniato sin dal suo primo documento scritto: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,19-21; cf. 1Cor 12-14; Rm 12,3-13)[24].
Le «rivelazioni private» – e in modo particolare le apparizioni mariane autenticate dalla chiesa nel suo magistero pastorale – possono essere considerate come una delle modalità che i doni carismatici dello Spirito liberamente e sovranamente assumono lungo il corso della storia. Sia nel loro accadimento, sia nelle loro conseguenze, quel che le caratterizza in maniera sostanziale (non solo in chi le riceve come testimone, ma anche in che ne beneficia attraverso le opere della grazia a più livelli connesse con tali eventi)[25], è l’essere ordinate «all’edificazione della chiesa, al bene degli uomini e alle necessità del mondo»[26].
D’altra parte, il necessario discernimento compiuto in forma autorevole dai legittimi pastori della chiesa al livello proprio dei segni, vale a dire della certezza morale[27], ha come suo oggetto l’accertamento della presenza vera e autentica, nelle «rivelazioni private», dei dinamismi costitutivi della chiesa e della sua fides[28].
In quanto doni carismatici dello Spirito, le «rivelazioni private» non costituiscono un «di più» superfluo rispetto alla fede teologale, ma appartengono di diritto (e non solo di fatto) al processo ecclesiogenetico che manifesta l’accadere e l’accoglienza della rivelazione non al livello della Parola-sacramento, ma al livello dei segni. Il dono carismatico, infatti, attesta una modalità di presenza del Signore risorto nella sua chiesa: presenza certa, continua e indefettibile ma, a differenza della presenza sacramentale, non programmabile e assolutamente inaspettata nelle sue forme e nelle persone a cui si comunica e, pertanto, affidata al «discernimento» della comunità credente e in modo particolare dei suoi pastori, «ai quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono (cf. 1Ts 5,12 e 19-21)»[29].
4. Le rivelazioni private nella vita della chiesa
Appartenendo, nella sua stessa origine, di diritto e di fatto all’ecclesiogenesi, il contributo che una «rivelazione privata» – data la sua natura carismatica – può dare al cammino di crescita nell’intelligenza della fede, si situa al livello della forma della chiesa. La forma della chiesa, infatti, altro non è che il suo rapporto con l’elemento che sta alla sua base, vale a dire la sostanza che ne è condizione di possibilità e ne indirizza normativamente l’esistenza: la rivelazione divina. Questa forma non è immobile e data una volta per tutte; si tratta invece di una realtà essenzialmente dinamica poiché, come afferma il Catechismo della chiesa cattolica riassumendo ancora l’insegnamento del Vaticano II:
Anche se la rivelazione è compiuta, non è però completamente esplicitata; toccherà alla fede cristiana coglierne gradualmente tutta la portata nel corso dei secoli (CCC 66).
La forma della chiesa non riguarda però solo il modo di porsi di essa di fronte alla rivelazione divina, ma anche il modo di rapportarsi della comunità e dei credenti dinanzi alla famiglia umana: la stessa rivelazione divina, infatti, genera e fonda la chiesa come soggetto in stato di essenziale e permanente diaconia salvifica per il mondo. Si potrebbe quindi dire che la forma della chiesa è lo specifico modo in cui essa vive e testimonia la sua vocazione e missione diaconale «pro totius mundi salute» in un determinato spazio-tempo storico-culturale: è l’ecclesiogenesi in atto. Osserva Cettina Militello:
Ci interessa sottolineare […], per diverse che siano le accentuazioni, come i soli costitutivi «teologici» non bastino a dar conto dell’accadimento ecclesiale. Se l’evento originariamente ecclesiogenetico è quello di una convocazione posta in essere dalla Parola resa intellegibile dallo Spirito e se dall’interazione Spirito-Parola consegue la dinamica sacramentale-ministeriale, resta pur evidente l’impossibilità del processo ecclesiogenetico al di fuori di quelli che vanno riconosciuti quali costitutivi antropologici. Detto altrimenti, non c’è chiesa senza la contestualità concreta e reale di un’umanità corporea, segnata e identificata nella sua peculiarità di genere, e ciò rinvia necessariamente alla concretezza peculiare di luogo, tempo e cultura. In un luogo e in un tempo particolari è annunciata la parola di salvezza; in un tempo e in un luogo particolari l’assemblea si raduna; in un luogo e un tempo particolari essa vive la sua articolazione carismatico-ministeriale; nella concretezza di un preciso luogo e di un preciso tempo sperimenta la vicendevole carità, offre la sua testimonianza, pratica il servizio. Ciò non vuol dire che luogo e tempo e cultura, possano essere equiparati ai costitutivi teologici. Senza di essi, tuttavia, l’evento non è tale. Essi costituiscono le coordinate obbligate al cui interno opera il mistero di salvezza e dunque accade la chiesa. Non potremmo altrimenti comprenderne l’indole stessa di mediazione salvifica[30].
Ora, le «rivelazioni private» vengono appunto a rilanciare, in forma assolutamente inaspettata, imprevista e imprevedibile, questo processo globale, dinamico e strutturale attraverso cui si costruisce la forma della chiesa così intesa, «relativizzando» e «problematizzando» quel che esiste (sia nella sua fattualità attuale, sia nelle prospettive evolutive ad essa connessa) nell’ambiente dove vengono attestate e testimoniate: esse, cioè, mettono direttamente in discussione la sempre possibile «autoreferenzialità» (sia essa esplicita o latente) di una comunità credente, vale a dire la tendenza a ritenersi la forma «ultima», «definitiva», «inalterabile» e «intangibile», assolutamente non bisognosa di alcun cambiamento, della modalità di relazionarsi alla rivelazione divina e alla famiglia umana, problematizzandola nelle sue premesse-conseguenze e ricollocandola nella sua relatività a quel che costituisce essenzialmente la sua sostanza[31].
Ritrovare consapevolmente la propria relatività rispetto alla sostanza da cui si è causalmente dipendenti significa mettersi in cammino alla ricerca di una forma nuova rispetto al passato e al presente[32]; di una forma nuova – potremmo dire di una differente ecclesiogenesi o di un differente modello ecclesiogenetico[33] – che, nella sua stessa configurazione estetico-sociologica, sia in grado di servire la credibilità e l’affidabilità dell’annuncio evangelico che rimane l’imperativo assoluto valido per la chiesa di ogni tempo e di ogni luogo e che, per la sua stessa natura, ha bisogno di differenziarsi in forma plurale nel corso della storia.
5. Conclusione
Concludendo e riassumendo, all’interno della visione ecclesiologica insegnata dal Vaticano II, le «rivelazioni private» possono essere comprese come doni carismatici e perciò eventi – possibili ma non necessari – che appartengono ordinariamente, nella loro fisionomia e natura propria, al processo dell’ecclesiogenesi. Vi appartengono nella loro origine, in quanto manifestano la struttura carismatica che caratterizza stabilmente e permanentemente la compagine ecclesiale in quanto realtà escatologica (cf. LG 48-51); vi appartengono nella loro finalità, in quanto contribuiscono, in forme e modi differenti[34], al dinamismo dell’evoluzione della forma della chiesa quale parte specifica e legittima del processo di crescita nell’intelligenza della fede.
Gian Matteo Roggio
assistente alla cattedra di dogmatica e mariologia presso la Facoltà
teologica «Marianum» e l’Università cattolica «S. Cuore» di Roma
Articolo tratto dalla Rivista “Credere oggi” 198 6/13
[1] Per una bibliografia generale su questo tema specifico cf. S.M. Perrella, Impronte di Dio nella storia. Apparizioni e mariofanie, EMP, Padova 2011, 368-393: «Le mariofanie: carismi e doni per l’umanità e per la chiesa»; S.M. Perrella – G.M. Roggio, Apparizioni e mariofanie. Teologia, storia, verifica ecclesiale, San Paolo, Cinisello B. 2012, 80-95.
[2] «Il chi è la chiesa o il che cosa è la chiesa […] ci mette dinanzi al nascere della chiesa e al nascere alla chiesa. E questa è in senso stretto l’ecclesiogenesi. La chiesa nasce e alla chiesa si nasce. Nel nascere alla chiesa è la chiesa stessa a ripresentare/rappresentare l’originaria ecclesiogenesi» (C. Militello, L’ecclesiogenesi e i suoi modelli, in G. Pasquale – C. Dotolo [edd.], Amore e verità. Sintesi prospettica di teologia fondamentale, Lateran University Press, Città del Vaticano 2011, 597-622, qui 601).
[3] Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum (18 novembre 1965) (DV), n. 6, in Enchiridion Vaticanum (EV), vol. 1, EDB, Bologna 1966, n. 878.
[4] È quanto la Scrittura condensa nell’esperienza e nelle teologie dell’alleanza. Per una visione sintetica cf. S.A. Panimolle (ed.), Dizionario di spiritualità biblico-patristica. 2. Alleanza, patto, testamento, Borla, Roma 1992, 9-156; J. Werbick, Storia / Agire di Dio, in P. Eicher (ed.), I concetti fondamentali della teologia, vol. 4, Queriniana, Brescia 2008, 227-246. Si veda a questo proposito anche l’itinerario delineato nel Catechismo della chiesa cattolica, LEV, Città del Vaticano 1997 (CCC): posto il fondamento della conoscibilità di Dio da parte dell’uomo (n. 50), l’articolo primo si snoda attraverso la disamina della rivelazione trinitaria (nn. 51-52) come storia di salvezza (nn. 53-58) realizzata nel cammino di alleanza con il popolo d’Israele (nn. 59-63); alleanza che, grazie ai profeti, agli umili e alle donne sante di cui la figura più luminosa è Maria (n. 64), culmina nell’incarnazione del Figlio (n. 65), la cui storia compie la rivelazione trinitaria (nn. 66-67) che in lui è perciò donata a tutti i popoli (n. 74) per mezzo della predicazione apostolica e dell’esperienza ecclesiale (nn. 75-95).
[5] Cf. G. De Gennaro (ed.), L’antropologia biblica, Dehoniane, Napoli 1981; A. Wénin, Non di solo pane… Violenza e alleanza nella Bibbia, EDB, Bologna 2004; Id., Perché tanta violenza? Quando la Bibbia provoca e disarma, San Paolo, Cinisello B. 2011; J.B. Metz, Memoria passionis. Un ricordo provocatorio nella società pluralista, Queriniana, Brescia 2009, 119-147; C. Di Sante, L’uomo alla presenza di Dio. L’umanesimo biblico, Queriniana, Brescia 2010, 72-122.
[6] Erma, Visiones pastoris, 2,4,1; cf. Aristide, Apologia, 16,6; San Giustino, Apologiae, 2, 7. Queste indicazioni provengono da CCC 760, nota 133.
[7] CCC 760, cf. 294 e 309.
[8] Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen gentium (21 novembre 1964) (LG), in EV 1, 284-445; Id., Costituzione pastorale sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes (7 dicembre 1965), nn. 1-22, in EV 1,1319-1390; CCC 770-786.
[9] Si tratta perciò dei cosiddetti «costitutivi ecclesiologici»: «di norma li si scandisce come Spirito, Parola, Eucaristia, ministero» (Militello, L’ecclesiogenesi, 612; per l’intero assunto, si vedano le pp. 612-618).
[10] Di fatto, il CCC non dà una definizione di che cosa sia una rivelazione privata, ma si limita a registrarne la presenza (fatto incontrovertibile di cui non si può dubitare) e si domanda pertanto «ruolo» e «significato» di tale presenza nella vita della chiesa (cf. CCC 67). Il CCC ha cura di distinguere nettamente le «rivelazioni private» dalle forme, dalle categorie e dalle produzioni letterarie che hanno caratterizzato sia i movimenti gnostici nei primi secoli della chiesa, sia il variegato mondo della letteratura apocrifa (cf. G. Filoramo, Veggenti profeti gnostici. Identità e conflitti nel cristianesimo antico, Morcelliana, Brescia 2005; sulla letteratura apocrifa, si veda: D. Marguerat – J.D. Kaestli [edd.], Il mistero degli apocrifi. Introduzione a una letteratura da scoprire, Massimo, Milano 1996). Va anche storicamente rilevato come la figura di Maria abbia interessato questi movimenti culturali e spirituali in forma tutt’altro che marginale: cf. A. Gila, Apocrifi, in S. De Fiores – V. Ferrari Schiefer – S.M. Perrella (edd.), Mariologia, San Paolo, Cinisello B. 2009, 128-135; E. Norelli, Maria nella letteratura apocrifa cristiana antica, in E. dal Covolo – A. Serra (edd.), Storia della mariologia. Dal modello biblico al modello letterario, vol. 1, Città Nuova – Marianum, Roma 2009, 143-254.
[11] Cf. S. De Fiores, Apparizioni, in Id., Mariologia. Nuovissimo dizionario, vol. 1, EDB, Bologna 2006, 21-69, qui 22-23.
[12] Cf. R. Laurentin, Bilan du Concile Vatican II. Histoire, textes, commentaires, Seuil, Paris 1967, 367.
[13] Cf. Y. Congar, Credo nello Spirito Santo, Queriniana, Brescia 1998, 201-265.
[14] Cf. ibid., 208-209.
[15] Cf. Y. Congar, La Parola e il soffio, Borla, Roma 1985.
[16] Cf. V. Gašpar, Cristologia pneumatologica in alcuni autori postconciliari (1965-1995). Status quaestionis e prospettive, Pontificia Università Gregoriana, Roma 2000, 143-148: La pneumatologia del Concilio Vaticano II.
[17] In questo senso, non è più possibile recepire quella parte della teologia tradizionale che ha teorizzato la cessazione dei carismi nell’esperienza ecclesiale (cf. A. Romano, Carisma, in A.A. Rodriguez – J.M. Canals Casas [edd.], Dizionario teologico della vita consacrata, Àncora, Milano 1994, 171-172 e 175; K. Rahner, L’elemento carismatico nella chiesa, in Id. [ed.], Sacramentum mundi. Enciclopedia teologica, vol. 2, Morcelliana, Brescia 1977, 47-52; G. Colzani, Apparizioni, in De Fiores – Ferrari Schiefer – Perrella [edd.], Mariologia, 139-140).
[18] Cf. K. Rahner, Il carisma nella chiesa, in Id., Nuovi saggi, vol. 4, Paoline, Roma 1973, 507-529; C. Militello, La chiesa, «il corpo crismato». Trattato di ecclesiologia, EDB, Bologna 2003, 91-158; S.M. Perrella, Anglicani e cattolici «…con Maria, la madre di Gesù» (At 1,14). Saggio di mariologia ecumenica, San Paolo, Cinisello B. 2009, 306-328.
[19] Lì dove ci si decide per Cristo si dà inevitabilmente la presenza e l’azione della chiesa: decidersi per Cristo vuol dire essere chiesa (cf. CCC 166, 168, 767).
[20] Cf. K. Rahner, L’elemento dinamico nella chiesa. Princìpi operativi concreti e carismi, Queriniana, Brescia 1970.
[21] Gregorio Magno, Homilia in Ezechielem, I, 7, 8, in Corpus christianorum. Series latina, vol. 142, Brepols, Turnhout 1971, 87.
[22] DV 8 (i corsivi sono nostri).
[23] Questo spiega, tra l’altro, il motivo per cui la tradizione teologica classica ha posto le «rivelazioni private» nell’orizzonte della prassi: cf. Perrella, Impronte di Dio, 155-164.
[24] Cf. il fascicolo monografico di «CredereOggi» 44 (2/1988) dal titolo Carismi e ministeri; M. Nardello, I carismi, forma dell’esistenza cristiana. Identità e discernimento, EDB, Bologna 2012.
[25] Cf. CCC 800; Congregazione per la dottrina della fede, Norme per procedere nel discernimento di presunte apparizioni e rivelazioni, LEV, Città del Vaticano 2012; Ch.J. Scicluna, Criteri e norme della Congregazione per la dottrina della fede nel discernimento delle apparizioni mariane, in «Marianum» 74(2012) 229-281.
[26] CCC 799, cf.1905-1906.
[27] Cf. CCC 801; Perrella, Impronte di Dio, 193-211.
[28] Cf. Congregazione per la dottrina della fede, Norme per procedere nel discernimento, 19-20. Osserva il Perrella nel caso specifico delle apparizioni mariane, ma valido per ogni «rivelazione privata»: «Un’apparizione può essere dichiarata autentica solo quando in essa si ritrovano all’opera i fattori genetici della chiesa, così come essi vengono testimoniati dalla Parola vivente di Dio nella comunità dei discepoli e delle discepole del Signore Gesù (Scrittura e tradizione). Se le mariofanie, in quanto carismi, partecipano alla generazione della chiesa, esse non possono non essere ordinate alla credibilità della chiesa stessa, dal momento che la credibilità profonda della chiesa deriva proprio dal suo esserci nella fede, nella speranza e nella carità: un esserci causato non da ragioni e operazioni umane, ma dalla libera fedeltà divina all’economia dell’alleanza salvifica […]. Per essere autentica, dunque, un’apparizione deve rivestire i caratteri del carisma e per poterlo fare non esiste altra via che quella della presenza, nella sua stessa costituzione e comunicazione, dei dinamismi fondamentali della genesi della chiesa, presenza che costituisce precisamente l’oggetto dell’accertamento da parte dei pastori nel loro servizio magisteriale. Il medesimo dinamismo ecclesiogenetico tipico del carisma giustifica inoltre il richiamo al sensus fidelium come parte attiva e non solo passiva nella valutazione-ricezione di questi eventi: “Guidato dal magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo e dei suoi santi alla chiesa” (CCC 67)» (Perrella, Impronte di Dio, 373-376).
[29] LG 12; cf. R. Laurentin, Introduzione, in R. Laurentin – P. Sbalchiero (edd.), Dizionario delle «apparizioni» della Vergine Maria, Edizioni ART, Roma 2010, 39-44.
[30] Militello, L’ecclesiogenesi, 613.
[31] Ciò vuol dire che le «rivelazioni private» costituiscono un momento di «crisi» e di «ri-orientamento» non autoreferenziale: i processi ad esse connessi tendono, cioè, a proiettare chi vi si lascia coinvolgere in una dinamica il cui centro non è costituito dalla «rivelazione privata» in sé, ma dal mistero di Cristo e della chiesa normato e fondato dalla parola di Dio, che pertanto costituisce anche il centro rispetto a cui l’apparizione stessa si struttura e il fine verso cui tende. Il Compendio del CCC lo formula nel modo seguente: «Pur non appartenendo al deposito della fede, esse possono aiutare a vivere la stessa fede, purché mantengano il loro stretto orientamento a Cristo» (Catechismo della chiesa cattolica. Compendio, LEV – San Paolo, Città del Vaticano – Cinisello B. 2005, n. 10 [il corsivo è nostro]).
[32] Senza che questo voglia dire che una tale nuova forma sia quella «definitiva»: al contrario, anche questa nuova forma, cui l’accoglienza delle «rivelazioni private» nel vissuto ecclesiale può contribuire in modo più o meno accentuato, non può che essere sottoposta alla logica della provvisorietà, cioè alla sua radicale apertura/dipendenza alla/dalla sostanza della chiesa quale istanza critico-fondativo-normativa unica e sovrana (cf. CCC 67).
[33] Cf. Militello, L’ecclesiogenesi, 607; per il concetto di modello, si veda A. Dulles, Modelli di Chiesa, EMP, Padova 2005.
[34] Esula dai limiti di questo studio l’analisi del complesso fenomeno della ricezione di una «rivelazione privata», delle sue tappe e forme, che declina comunque la tradizionale libertà di adesione dei battezzati a tali eventi una volta autenticati dai legittimi pastori (cf. Perrella – Roggio, Apparizioni e mariofanie, 88-94) Si può comunque affermare che la «spiritualità» gioca un ruolo di primo piano nella ricezione-attualizzazione-trasmissione delle «rivelazioni private» autentiche/autenticate nella tradizione viva delle chiese che ne sono state beneficiarie e, tramite loro, se è il caso, nella tradizione viva della chiesa universale. Né va dimenticato in questo processo il ruolo ricoperto dal vasto e delicato campo della «pietà popolare»: cf. Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, LEV, Città del Vaticano 2002, nn. 14-19 e 60-75; C.M. Boff, Mariologia sociale. Il significato della Vergine per la società, Queriniana, Brescia 2007, 533-573: Potenziale liberatore della pietà popolare mariana in generale e 574-629: Potenziale socioliberatore delle apparizioni mariane; M.M. Pedico, La più amata dai cristiani. La pietà mariana secondo il magistero, EMP, Padova 2013.